Un serio professionista

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La scomparsa di un importante personaggio pubblico di valore, cioè di chi è divenuto parte integrante del vissuto popolare, porta con sé una serie di riflessioni, attenzioni e valutazioni su ciò che è stato e su ciò che è riuscito a portare tra le persone.

Pippo Baudo ha esercitato la professione di presentatore, ideatore, autore, talent scout e persona di tendenza attraverso lo strumento simbolo del periodo, la televisione, che è riuscito a utilizzare per portare in modo innovativo la erudizione e il sapere nelle famiglie italiane.

Quello che ha significato Pippo Baudo nella cultura italiana e nella sua evoluzione democratica – lui apparteneva notoriamente ad un partito moderato con tendenza conservatrice – ce lo mostra, involontariamente, Enrico Manca (presidente Rai dal 1986 al 1992).

Baudo aveva il coraggio, ma anche la saggezza e la capacità, di presentare ed inserire nei suoi programmi personaggi sempre diversi, ma intelligenti e molto caustici. Tra questi ebbe il giovane attore Beppe Grillo, che durante una puntata di Fantastico 7, prendendo come spunto alcuni procedimenti giudiziari per corruzione nei confronti di esponenti socialisti e il concomitante viaggio in Cina dell’allora presidente del consiglio Bettino Craxi, fece un brevissimo monologo sul quel viaggio, correlandolo ai procedimenti legali in corso e concludendolo con questa straordinaria battuta: «Ma, se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano»?

Questa sortita di un comico, che è e deve essere trattata come tale, fece invece andare su tutte le furie Enrico Manca, il quale, cercando di appropriarsi del pensiero di Antonio Gramsci che nei «Quaderni del carcere» aveva dedicato un’ampia analisi alla cultura «nazionale popolare», accusò l’ospite di quella trasmissione di valersi, in senso inverso e negativo, della filosofica tesi gramsciana di ricerca critica della cultura «nazional popolare». E accusò il conduttore, in modo spregiativo, di realizzare programmi di natura «nazional populista» che esulavano dalla programmazione di intrattenimento. Pippo Baudo, naturalmente, non rimase zitto e rispose al presidente della Rai: «Vorrà dire che da ora in poi realizzerò programmi esclusivamente regionali e impopolari».

Il presidente Manca fa questa forzatura gramsciana perché, in quella battuta sarcastica, legge ingiustamente un attacco al Partito socialista, nel quale lui milita, e che è sotto la lente dei media per le problematiche giudiziarie riguardanti le attività corruttive da parte di alcuni suoi esponenti.

Antonio Gramsci, che nei «Quaderni» eleva a tesi la «cultura nazional popolare», lo fa per affrontare il problema della cultura nel popolo cogliendo l’occasione da un giudizio negativo che il periodico «Critica fascista» nel 1930 rivolge alle pubblicazioni in appendice, da parte di alcuni quotidiani, di romanzi come «Il conte di Montecristo» di Dumas e «Il calvario di una madre» di Fontenay.

Il periodico fascista accusava quei quotidiani di ricorrere a romanzi stranieri, e di cento anno prima, quando invece esisteva un romanzo moderno italiano. Gramsci quindi, nel suo saggio, va ad affrontare il problema della necessità di una cultura «nazional popolare», cioè diretta verso il popolo. Bisogna chiarire che per nazionale Gramsci intende «la nascita, la terra dove si è nati», al contrario di oggi quando è letta come comunità prevaricatrice opposta a patria, che viene intesa come comunità solidale. 

Antonio Gramsci pone il problema della cultura popolare e accusa i «laici» di aver fallito il loro compito storico per non aver saputo soddisfare le esigenze culturali del popolo, di non aver costruito un legame tra il sapere della classe intellettuale elitaria e quello della classe popolare. Da qui il concetto di «nazional popolare» come il superamento della storica divisione culturale tra le due classi e il dovere per gli intellettuali di tracimare pensieri e saperi verso la base della nazione: il popolo.

Pippo Baudo, con le scelte fatte in tutti i suoi programmi e spettacoli, realizza questa osmosi attraverso l’impegno professionale degli uomini di spettacolo. Ci ricorda, promuovendola, che la comicità si caratterizza per la messa alla berlina di uno o più episodi anormali e non coerenti con l’attività e il comportamento regolari. Se in un ospedale tutto funziona bene, nessuno trova alcun episodio spassoso; diventa oggetto di divertimento e di comicità un fatto anomalo come quello rappresentato da un bisturi che in sala operatoria non taglia oppure da una barella che si rovescia.

Dalle anomalie comportamentali dei potenti l’attore deve trarre ispirazione. Il compito e la bravura nella messa in scena consistono nel cogliere, del personaggio famoso o importante, il momento sbagliato, perché è questo che desta ilarità e fa ridere. Il bravo comico poi deve saper legare questi momenti umoristici con l’attività del personaggio per poterlo mettere alla berlina e successivamente affondare con la sua sarcastica recita. Ancora di più riuscirà ad essere tagliente se si tratta di un soggetto rappresentativo delle istituzioni o di un politico. In questi casi la persona oggetto del sarcasmo è necessario che sappia mandare giù l’affronto e saperlo ingoiare, anche se è «come fosse un rospo».

Sono passati molti anni da quelle trasmissioni di intrattenimento, che furono intelligenti e con una loro proiezione culturale. Assieme a Pippo Baudo ci furono altri protagonisti di quella televisione ricca di interessi e affascinante: ma che fine ha fatto? Dove sono quegli uomini e quelle donne che ci hanno fatto ridere e riflettere? E dove sono quei giornalisti che ci hanno regalato informazione e approfondimenti straordinari?

Oggi la televisione è ostaggio di gruppi di potere politico ed economico, vere caste di dominio finanziario e politico che impongono, in relazione ai loro specifici interessi, il tipo di trasmissione, gli argomenti da trattare e le informazioni da divulgare. E i giornalisti? E gli intrattenitori? Cosa fanno: subiscono e basta?

Ogni persona che lavora nel mondo della comunicazione si è adattata; sono pochi e rari i casi di operatori del settore che non si siano piegati allo stipendio e ai bocconi amari da mandare giù.

I potenti hanno imposto tutto: ma noi cosa facciamo, oltre che criticare e dare severi giudizi negativi, per sostenere e far ritrovare a questi operatori, con la loro libertà, quella dignità professionale che sono costretti ad internare? Nulla. Forse perché, molto probabilmente ben adagiati, troviamo più facile e semplice scaricare su di loro la nostra noncurante apatia.

Giorgio Mariani

Nella foto: Pippo Baudo e Beppe Grillo

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