La giornata della liberazione si snoda con le consuete celebrazioni, ma l’occhio è rivolto alle trattative per il nuovo governo che potrebbero riservare qualche sorpresa, ma non scenari inediti. Le scelte popolari hanno fornito indicazioni sui vincitori e sui vinti, ma nessuno è in grado di darsi una maggioranza e questa può formarsi nelle camere senza ancorarsi a formule precostituite. In momenti come quelli che stiamo vivendo risalta in chiara evidenza la natura di repubblica parlamentare del nostro stato e semmai si può discutere sui sistemi elettorali e sulla loro idoneità a tradurre fedelmente gli orientamenti della gente nel numero dei seggi. Il criterio proporzionale può portare a questo risultato, ma poi la stabilità dei governi è appesa al filo delle mutevoli posizioni delle singole forze politiche. Così è andata nei primi decenni della nostra storia repubblicana e così va adesso: i guai cominciano quando si passa dalle promesse ai programmi. A quasi due mesi dalle elezioni tutto sembra in alto mare, eppure ogni soluzione appare possibile: oggi il presidente della camera Roberto Fico, in adempimento del mandato esplorativo conferitogli dal capo dello stato, incontra le delegazioni del partito democratico e del movimento cinquestelle, che in teoria potrebbero formare una maggioranza, la quale però potrebbe ugualmente ottenersi dall’accordo tra lo stesso movimento e la coalizione di centrodestra guidata dal leghista Matteo Salvini. Il problema si pone in termini di compatibilità tra posizioni opposte su temi scottanti come la politica fiscale o quella delle migrazioni; a parte l’effetto paradosso per il quale il partito democratico uscito sconfitto dal voto potrebbe trovarsi al governo con una coalizione diversa da quella di centrodestra che ha ottenuto i maggiori suffragi. Sganciarsi dalla logica delle coalizioni tornando a quella dei partiti sarebbe la via di uscita, ma a questo punto non si vede la differenza rispetto alla prassi invalsa nel mezzo secolo della cosiddetta prima repubblica.
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