In ascesa le repubbliche delle banane

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Françoise Collet, ambasciatrice in Camerun dell’Unione europea

Grazie a condizioni climatiche favorevoli, il Camerun è diventato il primo produttore di banane dell’Africa e il quinto su scala mondiale.  Gli altri quattro sono Ecuador, Colombia, Costarica e Repubblica dominicana. La produzione è salita a 278.450 tonnellate, più alta delle 260.000 vantate dalla Costa d’Avorio che viene così sbalzata dal primo gradino del podio continentale.

         L’ambasciatrice dell’Unione europea in Camerun, Françoise  Collet, ha rivendicato l’apporto fondamentale del vecchio continente. Per un valore di cinquantotto milioni di euro si è contribuito al piano di modernizzazione delle dogane (Papmod) e al sostegno di questo settore (Mab).

         Si punta adesso a un ulteriore aumento della produzione, che nei prossimi anni potrebbe arrivare a 350.000 tonnellate, rifornendo così il mercato europeo che è il più importante per gli acquisti di banane dall’estero. In quello interno operano tre gruppi di produttori: Plantations du Haut Penja (Php), Boh Plantations limited (Bpl) e Cameroon development corporation (Cdc), quest’ultimo a partecipazione statale.

         A differenza di paesi come India, Cina e Brasile, che pur avendo un elevato grado di produttività hanno anche un alto fabbisogno per i consumi interni, le banane di origine sudamericana sono destinate alla esportazione. La concorrenza con i paesi africani è dunque piuttosto serrata: oltre ai primi quattro produttori, sono attivi nel comparto Guatemala, Honduras, Panama e le piccole isole dei Caraibi, specialmente le Windward (St Lucia, St Vincent, Grenada, Dominica), le Antille francesi (Martinica e Guadalupa), oltre che, per tornare all’Africa, il Ghana, che è entrato più recentemente in questo mercato ma ha delle aspirazioni di miglioramento nel prossimo futuro.

         I sistemi di produzione rispondono essenzialmente a due tipologie: poche grandi piantagioni e moltissime coltivazioni su piccola scala. Le prime si trovano quasi tutte in America centrale, dove le coltivazioni si estendono per migliaia di ettari adottando sistemi industriali avanzati dal punto di vista tecnologico. Pur coprendo solo il 17 per cento della produzione mondiale, queste piantagioni, controllate più o meno direttamente dalle grandi multinazionali, arrivano a coprire l’80 per cento del mercato globale. I principali fattori che determinano questo risultato sono dovuti alla economia di scala, ma più ancora alla disponibilità di manodopera a basso costo: il che, tradotto nel linguaggio comune, vuol dire sfruttamento della gente costretta ad accettare le persistenti condizioni di povertà.

         I piccoli coltivatori sono numerosi, ma dispongono di appezzamenti di terreno dalle dimensioni modeste. Accade così nella zona caraibica che non si possano cogliere i vantaggi economici dei grandi gruppi, con la conseguenza di costi maggiori da affrontare e di una bassa produttività.

 

N°123 giovedì 12 gennaio 2017