Se per qualunque ragione finisse la legislatura si potrebbe già votare con le norme vigenti. Ma nel testo risultante dall’intervento della corte costituzionale, che si è pronunciata sulla legge elettorale per la camera dei deputati, gergalmente battezzata con il nome di Italicum.
Niente ballottaggio né opzione discrezionale per i capilista eletti in più collegi; resta però la loro elezione automatica nel collegio dove la lista abbia ottenuto almeno un seggio. Il metodo delle preferenze vale per l’assegnazione dei seggi disponibili per gli altri candidati. La soglia di sbarramento, ossia il minimo dei voti per ottenere almeno un seggio, è fissata al 3 per cento. Resta il premio di maggioranza, ossia il 55 per cento dei seggi, per la lista e non più la coalizione che raggiunga la soglia del 40 per cento dei voti.
Nessuna censura ha riguardato il modo di formazione della legge parzialmente abrogata e praticamente riscritta con il sistema del taglia e cuci. Le motivazioni, che saranno conosciute tra qualche settimana, potranno chiarire svariati aspetti particolari e consentiranno di comprendere meglio le ragioni che hanno determinato la decisione. Non sono stati invece presi in considerazione gli aspetti concernenti l’iter della legge elettorale perché è stata dichiarata inammissibile la relativa richiesta di autoremissione della questione di legittimità costituzionale.
A questo punto, esauriti i passaggi giurisdizionali, i problemi si trasferiscono sul terreno politico. La sopravvivenza del senato nell’inalterato sistema di bicameralismo perfetto pone il problema della compatibilità non più formale ma certo sostanziale tra i modi di formazione dei due rami del parlamento. L’applicazione del criterio proporzionale potrebbe ostacolare l’uniformità delle maggioranze parlamentari con gli inevitabili riflessi sulla governabilità. Ma questa non può essere evocata a discapito della democrazia.
N°137 giovedì 26 gennaio 2017