L’Europa verso una nuova politica africana

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di Remo Roncati

È a tutti ben chiaro che la politica africana dell’occidente è stata per molti anni lastricata di buone intenzioni. I maggiori paesi, in passato, hanno investito notevoli somme di danaro per il finanziamento di teorici grandiosi piani di sviluppo in vari paesi dell’Africa, ma in concreto i risultati non sono stati positivi poiché spesso i cospicui finanziamenti finivano nelle mani di avidi dittatori, o per arricchire i loro familiari o per fare investimenti improduttivi (comprare armamenti), ma non servivano a dare lavoro e benefici economico-sociali alle popolazioni.

         È stato facile a molti paesi dell’Europa e agli Usa, nel periodo della «guerra fredda» Urss-Usa, per farsi amici i paesi africani indipendenti e legarli alla loro politica estera, donare tanto danaro a dittatori corrotti e satrapi locali, abili chiacchieroni, ma questi da «paesi non allineati» si impegnavano solo a richiedere ulteriori somme di danaro senza legarsi al loro carro.

         Certamente l’Africa da sola oggi non ce la fa e lo dimostrano i milioni di persone che scappano ed emigrano verso l’Europa (creando problemi gravissimi di accoglienza) alla ricerca di lavoro, desiderio di libertà, rispetto della loro personalità, benessere. L’Africa non potrà continuare a farcela da sola se l’occidente non interviene concretamente con piani di sviluppo ben studiati e praticati. L’Italia ritiene possa rappresentare un punto di riferimento importante ai fini della pace e del dialogo fra i popoli africani divisi spesso da cruente e dolorose lotte interne fra gruppi etnici, partecipando ai programmi di sviluppo con investimenti nel campo agricolo, scolastico, delle infrastrutture e delle piccole e medie industrie. L’Italia vuole stabilire un legame chiaro tra misure di sostegno e sviluppo unitamente a impegni dei paesi africani (anche in termini di rimpatri di migranti).

Nel maggio 2016 è stata tenuta a Roma una conferenza internazionale dedicata a vari  temi: sostenibilità economica, socio-ambientale, migrazioni, pace e sicurezza. Vi hanno dato l’adesione 52 paesi e vi hanno partecipato per l’Italia il presidente della repubblica Sergio Mattarella, il presidente del consiglio Matteo Renzi, il ministro e il vice ministro degli esteri e vari ministri (agricoltura, interno, ambiente), oltre quaranta  ministri degli esteri di vari paesi africani e una ventina di rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Il presidente Mattarella, nell’aprire la conferenza, aveva messo in evidenza che il primo dovere, di fronte alla triste emergenza nel Mediterraneo, era quello di salvare vite umane e che il nostro paese voleva essere un «ponte» verso il continente africano. Inoltre aveva evidenziato che le migrazioni di massa rappresentano per il continente africano la più dolorosa spoliazione di futuro dei tempi contemporanei. Pertanto erano necessari sforzi ulteriori per eliminare le cause delle migrazioni di necessità. L’allora ministro degli esteri Gentiloni, nel ricordare che due milioni di africani erano giunti in Europa tra il 2010 e il 2015, aveva richiamato la necessità di un piano operativo per l’Africa e di progetti pilota, da far partire in tempi brevi. Dopo qualche mese, lo stesso ministro, unitamente a un rappresentante dell’Unione europea, aveva iniziato la visita presso vari paesi africani per comprendere la situazione e i piani da mettere in atto.

         Appare purtroppo evidente come spesso in Europa la classe politica non voglia rendersi conto della effettiva situazione economica, tecnica, culturale di buona parte della realtà umana di quei popoli. Padre Piero Gheddo (del Pime), già anni fa, evidenziava, con somma onestà, sul Corriere della sera: «l mondo ricco, prima ancora di aiutare (condonare il debito, favorire le esportazioni africane), deve capire che noi viviamo nel 2000 d.C., gli africani, gran parte, senza loro colpa, in epoca preistorica: possono guidare l’auto e l’aereo, ma nei villaggi non hanno ancora inventato la ruota, la carriola, il carro agricolo. Lo stato, il lavoro industriale, le scienze e le tecniche non fanno parte del loro bagaglio culturale (parlo dei popoli, non della piccola percentuale di persone evolute)». Inoltre affermava: «La radice del sottosviluppo non è economica, ma culturale». Il Papa scrive (Redemptoris  Missio, 58) : «Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione della mentalità e dei costumi», La soluzione sta in un rapporto giusto e fraterno tra i popoli per una educazione vicendevole , come fanno i missionari, applauditi ma non imitati: il mondo ricco manda aiuti , ma pochissimi ragazzi e ragazze disposti a donare la vita per gli altri. È evidente che il prezioso aiuto in loco che danno i missionari per lo sviluppo dell’istruzione materna, elementare, media e professionale è altamente educativo, ma non è bastevole, poiché grandi sono le esigenze dei vari paesi e molte le lacune e il disinteresse di troppi governi locali.

         Deve essere ben chiaro ai paesi dell’occidente che non può esserci rinascita dell’Africa, né di qualsiasi altra realtà umana, se non si considerano gli altri popoli di quel continente come persone con pari dignità e con pieno diritto alla sovranità. Gli aiuti concessi o da concedere vanno regolati e controllati da personale tecnico competente e preparato. Gli investimenti dell’occidente devono essere rivolti principalmente al settore agricolo, poiché è un diritto degli uomini avere a disposizione gli alimenti necessari per la propria vita, per la famiglia. La mancanza di prodotti agricoli alimentari porta alla corsa all’emigrazione selvaggia verso l’Europa, con conseguente abbandono di terre produttive che se ben coltivate seguendo le norme dettate dalla scienza e dalla tecnica possono dare produzioni agrarie molto elevate, della migliore qualità ed esportabili. Inoltre i piani di sviluppo dovranno prevedere aiuti per la formazione di piccole e medie aziende. Occorrerà finanziare adeguatamente la realizzazione di scuole elementari (per mettere tutti in condizione di  leggere, scrivere, far di conto, avere adeguata cultura); scuole professionali (per consentire la formazione di buoni trattoristi, vivaisti, agricoltori, potatori), infrastrutture, ospedali, fognature, distribuzione di acqua potabile, ponti. Questi indirizzi potranno costituire la base per la auspicabile rinascita dei vari paesi. Saranno utili urgenti finanziamenti all’Egitto sia per lo scavo di due grandi canali sul fiume Nilo per rendere irrigui grandi comprensori agricoli attualmente sommersi dal deserto (si trattava di un vecchio progetto caro al presidente Sadat), sia per una scuola italiana al Cairo e ad Alessandria. Nelle zone irrigue una parte di popolazione potrà così dedicarsi alle attività agricole e nelle due grandi città i giovani potranno sviluppare la loro cultura e la formazione armonica della loro personalità. In Tunisia è possibile potenziare sia i restauri e gli scavi archeologici, sia la lotta al deserto, sia le coltivazioni con varietà di piante che non necessitano di grandi quantità di acqua per il loro sviluppo.

         Certamente la diplomazia italiana dovrà impegnarsi sempre più per stimolare una politica di effettiva pace fra i paesi africani. Buoni auspici di pace potranno ottenersi impegnandosi in Libia, Somalia, Sud Sudan, che stanno dissanguandosi in lotte fratricide tra gruppi etnici e in azioni terroristiche dovute a fazioni estremistiche islamiche. I governi dei paesi dell’Africa dovranno dimostrare nei fatti che lavorano efficacemente e concordemente per l’affermazione della democrazia e della libertà in tutte le loro espressioni (religiosa, politica, di pensiero), rispetto della dignità dell’uomo, libertà di investimenti dei capitali privati (difesi e salvaguardati). Dovrà svilupparsi una politica di pace che elimini le lotte interne e il terrorismo islamico e tribale esistente.

N°110  mercoledì 28 dicembre 2016