Una notte all’opera

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LA Opera PellÈas & MÈlisande Orchestra Tech Photos by Craig T. Mathew/Mathew Imaging If these photos will be used on Social Media, please be sure to tag the following: @mathewimaging

Il 25 marzo, nella ricorrenza del centocinquesimo anniversario della morte del compositore francese Claude Debussy, la sua unica opera, Pelléas et Mélisande, è tornata al Teatro dell’Opera di Los Angeles, dopo ventotto anni di assenza. 

Trasposizione fedele dell’omonimo dramma teatrale in cinque atti del contemporaneo autore simbolista belga Maurice Maeter, l’opera è atipica, in quanto non presenta arie vere e proprie, né cori (se si eccettua un coro monosillabo di marinai fuori scena).

Ecco, in sintesi, la trama. In seguito ad una battuta di caccia, il principe vedovo Golaud si imbatte in una giovane donna dal passato misterioso, Mélisande. Sei mesi più tardi, veniamo a sapere che i due si sono sposati. Il fato vuole, però, che la ragazza si innamori del fratellastro di Golaud, Pelléas. Il triangolo amoroso avrà ovviamente un decorso tragico.

Durante una conferenza prima della rappresentazione, James Conlon, direttore d’orchestra della Los Angeles Opera dal 2006, ha inquadrato brillantemente l’opera, mettendone in risalto l’inizio dantesco in cui Golaud si ritrova smarrito in una selva oscura. A differenza della Divina Commedia, però, non c’è vera «catarsi» per il protagonista alla fine del viaggio.

Nonostante Debussy si dichiarasse «antiwagneriano», ripropose in quest’opera le caratteristiche distintive delle opere wagneriane. Ovvero, in primo luogo, la centralità dell’orchestra come universo a sé, onnisciente e onnipresente.

Inoltre il compositore francese fa uso di leitmotiv per caratterizzare i personaggi principali. La musica si sussegue senza interruzioni in un flusso continuo, secondo il principio conosciuto con il termine tedesco: «Durchkomponiert».

Infine, come Wagner, così anche Debussy fa cantare un solo cantante alla volta, rinunciando ai duetti e terzetti tipici di tanta tradizione operistica convenzionale.

Nel cast spicca il basso italiano Ferruccio Furlanetto nel ruolo del vecchio e quasi completamente cieco Re Arkel, nonno di Golaud e Pelléas. Come tante figure mitiche, quali l’indovino Tiresia, la cecità dona una sorta di capacità visiva particolare. Nel caso di Arkel, la sua voce è quella del destino inesorabile che muove le vicende.

Ferruccio, cantante lirico di fama internazionale originario di Sacile, in Trentino-Alto Adige, offre un’interpretazione potente ed efficace mediante ariosi che preservano intatta la pregnanza del testo francese.

Oltre alla debuttante soprano californiana Sidney Mancasola, che incanta con la sua bellezza e voce eterea nel ruolo di Mélisande, merita una menzione speciale il promettente cantante undicenne originario dell’Illinois, Kai Edgar, nel ruolo del piccolo Yniold, figlio di Golaud.    

Nell’allestimento scenico minimalista dello scozzese David McVicar spicca il disegno luci della pluripremiata designer britannica Paule Constable. Tanto più che l’intera opera oscilla simbolicamente tra giorno e notte, luce e oscurità.

Valerio Viale

Nella foto: Sidney Mancasola