Il cavallo di troika

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Nel corso della conferenza stampa del 19 ottobre, a illustrazione dell’ennesimo decreto imposto dall’aggravarsi della pandemia,il presidente del consiglio ha chiarito taluni motivi che indurrebbero il governo a non accedere ai fondi del Mes. Ha opportunamente ricordato che quelle risorse sono prestiti che andrebbero a incrementare il debito pubblico. A un tasso di interesse, si noti a margine, oggi non particolarmente competitivo se considerato alla luce delle recenti aste di Btp. E il debito va pagato, ha aggiunto Conte. Un debito che corrisponde a un credito privilegiato, si noti ancora , da rimborsare prioritariamente a richiesta del  creditore, nella fattispecie una società anonima di diritto lussemburghese creata da diciassette stati sovrani, aderenti all’Ue.

Nella conferenza stampa il presidente del consiglio ha inoltre avvertito testualmente: «dovrò intervenire con tasse e tagli perché devo mantenere il debito sotto controllo» (cfr. Corriere della sera) qualora si accedesse al meccanismo europeo di stabilità. Fin qui la posizione di Conte .

Sulla vexata quaestio, pervicacemente animata da europeisti che vogliono ignorare il funzionamento del Mes, è utile un rinvio all’articolo apparso lo scorso 1° luglio sulla Certezza. Si offre in quella sede una disamina delle norme contenute nel trattato internazionale istitutivo dell’organismo finalizzato a interventi cosiddetti salva stati: quel trattato che regola le note condizionalità a carico dello stato che ne volesse utilizzare i fondi.

Già, il trattato. Che resta immodificato, per ovvie ragioni giuridiche, da qualsivoglia lettera di intenti o di rassicurazioni di natura politica che vorrebbero limitare, per l’Italia, le condizioni del prestito al solo uso delle risorse elargite alla spesa nel settore sanitario. Perché quella lettera, che impegna politicamente gli illustri autori ma non incide sul trattato, affannosamente redatta e sbandierata mentre dilagava la pandemia, se le (vigenti) condizionalità che (inutilmente) intendeva escludere fossero così soft da diradare le ragioni di contrarietà, tuttora perduranti, da parte degli stati all’accesso al Mes? Si è, in realtà, tentato di far passare l’idea che all’Italia, alle prese con la crisi sanitaria, sarebbero state risparmiate le ordinarie, rigorose condizioni del Mes, «cavallo di troika» utile a mettere sotto tutela la politica economica del paese.

Un’operazione che si voleva accreditare come mossa da sollecita solidarietà contraddetta dagli orientamenti ben poco comunitari che caratterizzano la Ue: una società di stati sovrani, attenti ai propri particolari interessi, come da ultimo sta dimostrando perfino la tormentata e ancora irrisolta vicenda, punteggiata da riserve e freni di ogni tipo, dell’ex Recovery fund oggi Next generation eu.

Ma la memoria del modus operandi della troika innescata dall’intervento del Mes in Grecia è ancora viva .E di recente, ma tardivamente, la stessa cancelliera Merkel ha definito un errore il trattamento subìto da quel paese ignorandone addirittura la volontà popolare espressa in un referendum.

Tuttavia ciò non basta a un establishment – politici di primo piano, giornalisti e opinion makers assortiti – proteso, addirittura con entusiasmo, ad accogliere l’offerta dei partners europei. Tanto sollecitata da indurre a dubitare, almeno, delle vere motivazioni della imperante tecnocrazia europea.

A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, soleva rammentare una grande personalità della cosiddetta prima repubblica. Timeo Danaos, appunto!

Giovanni Corradini

Nella foto: Giulio Andreotti