Timeo Danaos et dona ferentes

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Mes o non Mes: una opportuna occhiata alle fonti è d’aiuto. Recita la norma del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (articolo 136) da cui trae origine la istituzione del Mes: «Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità». Firmato dagli Stati aderenti e entrato in vigore nel settembre del 2012, il trattato internazionale costituiva il Mes, una Société Anonyme di diritto lussemburghese, regolandone il funzionamento. Non senza che, preventivamente, si fosse pronunciata la corte costituzionale tedesca in ordine alla legittimità del Fondo rispetto al sistema costituzionale di quel paese. Ciò che richiama l’attenzione alla recente iniziativa della corte di Karlsrhue con riferimento all’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce e induce a ricordare che prossimamente la medesima corte giungerà a una pronuncia, avuti i richiesti chiarimenti, sul Quantitative Easing. Una vicenda che si annuncia dagli interessanti risvolti , considerato che dovrebbe concludersi proprio nel semestre della presidenza tedesca.

Ma torniamo alle regole di funzionamento della Società che amministra il fondo sovvenzionato dagli Stati. Questa «può decidere di concedere, in linea di principio, il sostegno di stabilità al membro del Mes interessato, sotto forma di un dispositivo di assistenza finanziaria». Esito di un negoziato affidato alla Commissione, di concerto con la Bce e «laddove possibile» insieme al Fmi,inteso a precisare «le condizioni contenute nel dispositivo di assistenza finanziaria». Il Mes, approvato l’accordo, ne «definisce gli aspetti finanziari e, se del caso, le modalità di corresponsione della prima rata dell’assistenza stessa». Inoltre «istituisce un idoneo sistema di avviso per garantire il tempestivo rimborso degli eventuali importi dovuti dal membro del Mes». Infine, «se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro nel suo insieme e dei suoi Stati membri, il Mes può fornire sostegno alla stabilità soggetto a rigorose condizioni»… che possono comprendere anche «un programma di aggiustamento macroeconomico». Tale il quadro normativo, rivisitato in estrema sintesi, dello strumento insistentemente, e non pour cause, proposto all’Italia per affrontare le difficoltà del sistema sanitario provato dalla pandemia. Che sarebbe reso soft da una lettera dei signori Dombrovskis e Gentiloni i quali assicurano che la Commissione «sees no scope for a possible activation of…» una serie di norme che allontanerebbero temute condizionalità all’erogazione di 37 miliardi  di prestito, a basso tasso d’interesse, se impiegati nella spesa sanitaria. Ma la lettera di intenti – all’apparenza generosi, anche se non va dimenticato che l’Italia ha già versato 14 miliardi al Mes – non può comportare, con ogni evidenza, alcun riflesso giuridico sul meccanismo ideato per la stabilità della zona euro, regolato da un trattato internazionale che resta intatto nella formulazione. Se proprio non si volesse mettere in dubbio la volontà politica di aiuto, oggi proclamata, non si dovrebbe tuttavia trascurare il fatto che le norme vigenti consentono l’invariata facoltà di puntuale controllo e di penetrante intervento al Mes. E magari alla trojka secondo una amara esperienza che ridusse in ginocchio la povera Grecia.

Si dovrebbe modificare il trattato essendo l’espediente della lettera degli intenti rassicuranti priva di valore giuridico. Operazione allo stato impossibile.

Se  a pensar male si fa peccato, sorge quindi il sospetto che, dietro l’insistenza dei «frugali» e, di recente della cancelliera Merkel, ad attingere a un Mes in versione (falsamente) light, si celi il disegno di imporre a un paese malridotto dalla pandemia il più stretto controllo della politica economica spazzando ogni residuo di sovranità nazionale. Da tempo si ripete come, a fronte di un elevato debito pubblico, il risparmio privato sia in Italia molto consistente. E allora non è saggio ignorare segnali inequivocabili chiudendo gli occhi su probabili iniziative «lacrime e sangue» di una governance europea elitaria che ha in uggia la volontà popolare, come il referendum greco ha dimostrato.

Oppure si vuole davvero credere ciecamente a un solidale spirito comunitario? Ma le generose visioni federaliste del secondo dopoguerra sono purtroppo smentite dalla successiva evoluzione della vicenda europea.

Giovanni Corradini

Nella foto: Angela Merkel