Il benefico tranello

548

Ricorre con caparbia insistenza, a sollievo di popoli in ansia, la rassicurante espressione «senza condizionalità» riferita a un eventuale intervento del Mes a sostegno, richiesto, delle spese necessarie nel settore sanitario, duramente provato dalla pandemia ancora in atto. Si afferma che la benefica istituzione, dall’incerto profilo giuridico, assimilabile a una banca, istituita da un trattato sottoscritto da diciassette stati sovrani con placet finale della Germania, si impegnerebbe a garantire allo stato che decidesse di chiederne l’aiuto una vigilanza light, limitata ad accertare l’utilizzo nel settore sanitario dei fondi erogati. Rinunciando comunque, per di più dietro pagamento di esigui interessi, a esercitare quel tipo di controllo secondo modalità che in Grecia certamente ricordano con struggente nostalgia.

E perché il Mes dovrebbe, da creditore, essere così sollecito alle esigenze del debitore? Ma perché lo garantisce una lettera di indirizzo politico dei signori Dombrovskis e Gentiloni che proclamano, a nome della commissione, l’inesistenza di ogni altra pretesa dell’istituzione erogante che non sia l’accertamento del tipo di spesa effettuata dallo stato beneficiato. Ma le regole contenute nel trattato istitutivo del Mes – si dimentica – non sono né abolite, né modificate perché non lo possono essere per effetto di una manifestazione di volizione politica comunque motivata e confezionata.

Norme vigenti di diritto internazionale non cessano di avere efficacia. Per esempio il regolamento 472/ 2013 che disciplina la sorveglianza del Mes sulla spesa dello stato debitore che può giungere fino alla richiesta di un programma macroeconomico «subordinato a condizioni politiche rigorose». Né è inciso dalla citata lettera delle due figure istituzionali europee quel consolidato complesso di norme che consente al Mes (e non solo) un controllo attivo sull’utilizzo dei fondi per l’intera durata del prestito decennale fino alla restituzione.

Se qualcosa non va ben può il Mes intervenire operando nel quadro di una vigilanza rafforzata fino alla adozione di un programma di aggiustamento senza trovare ostacolo in qualsivoglia documento che pretenda di disattendere parte di un trattato  internazionale. Non risultano nuove norme del trattato adottate a modifica delle vigenti come sembra immaginare Bini Smaghi (Corriere della sera del 23 maggio) allorché scrive che i documenti ufficiali (ma quali?) sono chiari e che sarebbero così « fugati» i dubbi riguardo a successive «imposizioni macroeconomiche».

Il rischio di una procedura assai sgradita è tuttora ben presente ad altri stati europei che ad oggi non ritengono di ricorrere alla «banca» lussemburghese necessariamente operante secondo le regole dell’atto istitutivo. Insomma non si possono «arraffare» soldi, e non sarebbero nemmeno tanti, senza sottoporsi all’esame del creditore e alle eventuali conseguenti misure – le condizionalità successive secondo definizione dal professor Mangia – a garanzia del prestito decennale erogato. Come uno sbrigativo, acritico fideismo europeo vorrebbe far credere.

E, si noti per incidens, si finge  contemporaneamente di ignorare come il 6 maggio sia trascorso senza che la presidente Ursula von der Leyen abbia proposto un progetto di Recovery fund disattendendo il mandato del consiglio. Ma probabilmente attendendo «lumi» dai soci che contano nella sgangherata unione , come l’intesa carolingia di questi giorni sembra anticipare.

Smentendo per l’ennesima volta quello spirito comunitario di una unione tra eguali con pari dignità che dovrebbe essere a fondamento del disegno federalista europeo, contraddetto, perfino nelle attuali straordinarie circostanze, da quelle visioni nazionali che sono radicate da secoli di storia.

Ma ignorate dalla euroideologia tecnocratica, il nuovo tiranno senza volto.

Giovanni Corradini

Nella foto: Valdis Dombrovskis