Scienza e buonsenso

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Giustamente alti e altissimi rappresentanti delle istituzioni con gravi responsabilità nella sanità pubblica, e in particolare nell’attuale lotta al coronavirus o Covid-19, non si stancano di ribadire, ad ogni piè sospinto, la inderogabile necessità di attenersi strettamente ai dettati della «scienza» nella messa in atto dei provvedimenti di prevenzione del contagio e di cura della malattia. E certamente la scienza ci offre dati certi che non solo non possono essere ignorati, ma devono costituire la base di ogni condotta e di ogni decisione. Il più delle volte le decisioni implicano a loro volta scelte che possono essere molto difficili nella pratica quotidiana per la coesistenza di situazioni e di circostanze che configgono fra loro e che spesso richiedono provvedimenti di segno contrario: in questi casi, molto frequenti nella complessa struttura della attuale società, per arrivare a scelte valide in quel determinato contesto deve intervenire la capacità di una valutazione globale di vantaggi e svantaggi dei singoli provvedimenti rispetto alle differenti situazioni; occorrono cioè, oltre alla conoscenza dei dati scientifici, intelligenza, buonsenso ed esperienza di vita che, purtroppo, non sono alla portata di tutti. E non si può certamente nascondere il vuoto di idee e l’incapacità di scelte valide con l’invocazione alla «scienza» con la esse maiuscola.

Un grossolano esempio delle contraddizioni e della opinabilità di certi provvedimenti è rappresentato dalla anticipazione dal 29 al 1° marzo del blocco del traffico a Roma e della sua conferma nel quadro delle cosiddette «domeniche ecologiche». In questo caso la deroga al blocco consentirebbe ai cittadini romani di non salire sugli affollati mezzi pubblici e di spostarsi invece con quelli privati evitando così una importante occasione di contagio. Non c’è dubbio che la prevenzione del contagio costituisca in questi giorni una priorità assoluta, di gran lunga superiore alla riduzione di meno un trecentosessantaciquesimo dell’inquinamento atmosferico per un giorno di interruzione di una parte del traffico privato. Forse c’è da chiedersi se non sarebbe stato ancora più opportuno, in queste circostanze, bloccare i mezzi pubblici e incentivare il traffico privato prendendo, come suol dirsi a Roma, «due piccioni con una fava», cioè riduzione delle occasioni di contagio insieme con riduzione, sia pure modesta, dell’inquinamento atmosferico.

Un altro esempio che merita una approfondita valutazione è rappresentato dal contraddittorio comportamento di alcune regioni nella decisione di chiudere o meno alcune scuole. Sembrerebbe logico limitarsi ai casi estremi, che finora non sembra si siano verificati, di luoghi con preoccupante diffusione del contagio, mentre in casi isolati, come quello recente di Fiumicino, andrebbe inibita la frequenza soltanto agli alunni che sono o sono stati a stretto contatto della persona affetta, mantenendo aperta la scuola che, non dobbiamo dimenticarlo, rappresenta un eccezionale luogo di controllo sanitario degli studenti e quindi delle loro famiglie.

Girolamo Digilio

Nella foto: traffico limitato a Roma